emiliovedova - marcellopalminteri

Vai ai contenuti

Menu principale:

marcello palminteri | contatti

CATALOGHI E PUBBLICAZIONI
| ARTICOLI | MOSTRE | ARTISTI E TESTI | ALBUM | NEWS

::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::


 
 
 

EMILIO VEDOVA
TRAGEDIA DELLA VISIONE

 

La parabola creativa di Emilio Vedova, intensa e vissuta, va certo oltre i confini dell’esclusivamente pittorico. La sua radice espressionista, maturata attraverso l’irrequieta adesione ai gruppi "Corrente" e "Oltre Guernica" prima e al Fronte Nuovo delle Arti e al Gruppo degli Otto dopo, troverà compimento in una astrazione drammatica, che "non rifiuta il rapporto con la natura e l’interiorità dell’artista" e che "accetta l’ispirazione da qualsiasi occasione", come scrive Lionello Venturi presentando il Gruppo alla Biennale veneziana del ‘52. La veemenza dell’opera di questi anni, in cui la resistenza antifascista ha un posto centrale, soprattutto a livello intellettuale, sfocerà di lì a breve in una gestualità prorompente, romanticamente automatica e astratta; da qui l’inizio di una poetica inquieta, nervosa, scenograficamente presente, teatrale per l’accumulo di visioni, per le fitte geometrie del segno, per gli impulsi e le tensioni emozionali. Una poetica che farà di Vedova uno dei principali esponenti della pittura informale italiana e che gli permetterà di essere presente alle maggiori rassegne d’arte internazionali. San Paolo (Biennale, 1951), Kassel (Documenta, nel 1955, nel 1959 e, più recentemente, nel 1982), Venezia (numerose le partecipazioni alla Biennale, dove nel 1960 avrà una sala personale e gli verrà assegnato il Gran Premio per la Pittura) sono solo alcune tappe che consacreranno Emilio Vedova come uno tra i maggiori artisti del secondo Novecento. Complesso e stratificato, fatto di concetti, rivelazioni, accostamenti e metafore, di ispessimenti di senso che sono grammatica e romanzo, siamo di fronte ad un linguaggio ermetico nel senso etimologico del termine: a governare il gesto di Vedova è Hermes, divinità dei passaggi, dell’attraversamento delle soglie; l’evocatore degli infiniti mondi possibili. Perché l’infinito è sempre il possibile, l’irreale, il sublime, il fantastico e mai l’atto, il limite, lo spazio chiuso; ma anche il reale e l’impossibile, il vero e l’inganno. Come la pittura di Vedova: sfuggente eppure densa e vera, il cui segno, il cui il gesto, senza sosta, descrive onde e respiri, attese, passioni e rabbia. Traccia, colore, azione, si definiscono nel loro mimare a diventare scena, massa,assembramento di atti omologhi che presi a sé, nella loro singolarità avrebbero vita precaria ma che invece vivono la loro sistemazione, ancorché violenta e dissonante, in un organismo espressivo che si sviluppa secondo una dialettica che sembrerebbe appartenere, per intensità e stratificazione, più alle ricerche della musica contemporanea che alla pittura in senso stretto. Vedova fa della pittura scena aperta, definisce ambientazioni multiple, come avviene in maniera ancora più accentuata nei "Plurimi": incontro-scontro di pittura e scultura, di superficie e spazio, sembrano svilupparsi per consentire - proprio come in una esecuzione orchestrale - di apparire in molteplici visioni, così come agli strumenti è concesso di emettere due o più suoni contemporaneamente, nonché una varietà di trascolorazioni timbriche con tutta una ricca fenomenologia di effetti. L’opera, allora, si dilata, si veste in nuove dimensioni e nuove collocazioni visive, concorrendo a ribadire l’istanza della materia che trova prolungamento nei processi di densità e rarefazione, verticali e orizzontali, del tessuto pittorico che segna il percorso della composizione. Di più: l’impressione è quella dello scorrere di una grande materia in cui sia rimasto impigliato il brandello appena riconoscibile di qualche rado messaggio. Qui si fa luce l’interessante simbologia sociale dell’arte: Emilio Vedova, lo ricordiamo nuovamente, svolge una pittura di forte impegno. L’astrazione di Vedova è una riflessione sui rapporti tra la complessità artistica e l’efficacia politica e si colloca in una dimensione che si definisce nei termini di una metafisica lotta che comporta - come qualcuno ha sottolineato - "retrospettivamente il dibattito ideologico e politico interno alla cultura italiana dagli anni Quaranta agli anni Sessanta" ed oltre. Il dipingere di Vedova è il rito della tradizione che si carica di nuove tensioni, capaci di dare il senso ad una concezione spaziale della composizione che sembra rimandare ancora, per le sue stratificazioni, alla musica, alla policoralità veneziana, arricchita da una forte carica espressionista con la quale si caratterizza l’esattezza vigorosa del segno, della struttura, delle invenzioni timbriche. La pittura "teatrale" di Vedova recupera prove drammatiche che delineano, sempre, la complessità contraddittoria del mondo e della storia, E la cifra maggiore risiede proprio nel fatto che nell’apparente difformità del segno e delle strutture si propone lo sviluppo coerente di concetti e posizioni nei quali si riassume la poetica unitaria di Emilio Vedova. Una poetica che potremmo definire "tragedia della visione", parafrasando il sottotitolo di una tra le più importanti opere del Novecento musicale: "Prometeo. Tragedia dell’ascolto", composta dall’amico (veneziano anch’esso), Luigi Nono, che già nel 1960 dedicherà a Vedova la prima sua composizione per nastro magnetico (intitolata "Omaggio a Vedova"). Un omaggio ricambiato nella collaborazione e nella realizzazione delle scenografie per "Intolleranza 1960", scritta da Nono nello stesso anno su commissione del Teatro La Fenice di Venezia (dove è stata recentemente riproposta, nonostante le difficoltà in cui versano le istituzioni culturali italiane). Potremmo dire infine che, come il suono di Nono, il segno di Vedova, nella sua rapida successione, nelle sue variazioni infinite, costringe ad un continuo riadattamento della visione, configurandosi come un’estetica di protesta contro il mondo e la sua omologazione. Non c’è mai, nella sua opera, una evasione verso atmosfere consolanti, ma soltanto dimensioni sovversive; una pittura che produce un rigenerante malessere, uno sforzo continuo. Tragedia della visione, appunto.


Marcello Palminteri

in Artantis.info, n. 2, marzo/aprile 2011, Artantis Edizioni, Napoli


 
Torna ai contenuti | Torna al menu